Sul sito di The Guardian è recentemente apparso un articolo sulla difficoltà (o incapacità) delle catene di caffetterie inglesi di spingere i propri clienti a gettare correttamente i 2,5 miliardi di bicchieri di carta che ogni anno vengono usati nel Regno Unito. Mettiamola così che è più chiara: 2.500.000.000 di bicchieri di carta solo per il caffè. Se seguite questo blog sapete che mi piace anche leggere i commenti agli articoli. Un lettore scrive che, grazie al cielo, nella civile Spagna il caffè si beve nelle tazze di ceramica. Risponde un lettore che vive in Italia, il quale ribadisce che anche qui si usano le tazzine di ceramica, assieme ai cucchiaini di metallo. Che questo faccia di noi un paese civile mi sembra un po’ poco, ma ho notato che anche per quanto riguarda la sostenibilità siamo esterofili. Si fa poco, è vero, per certe cose siamo indietro anni luce, però non sarà capitato a pochi vedere che paesi considerati molto civili, presi ad esempio in quanto ad attenzione per l’ambiente, non tengono certi semplici comportamenti amici dell’ambiente che per noi sono scontati. E’ questione di tradizione, di DNA culturale, sicuramente, ma è anche un fatto. L’uso delle tazzine di ceramica può essere uno (purtroppo ci sono poi le infinite sagre con l’usa e getta…), ma poi anche il consumo di frutta e verdura di stagione, il consumo di prodotti locali e di cibi freschi piuttosto che di cibi pronti, l’uso dell’asciugatrice. La questione dei panni al sole è particolare. In diversi siti e blog in lingua inglese potete vedere quante parole si spendono a favore del line drying, che nei paesi anglosassoni ha sempre avuto un cattiva fama, considerato segno di povertà ed inciviltà. Negli Stati Uniti, dove il 6% del consumo energetico domestico è dovuto all’uso delle ascugatrici, nel 2009 Colorado, Hawaai, Vermont e Maine hanno abolito il divieto di stendere i panni all’aperto. Florida e Utah ci avevano già pensato in precedenza, mentre altri stati stanno prendendo la questione in considerazione. Mi ricordo di aver letto di quando, nel 2008, la provincia dell’Ontario, in Canada, aveva anch’essa deciso di abolire il divieto del line drying, seguita nel 2010 dalla Nuova Scozia. Ho letto in un articolo sul New York Times del 2008 il caso di una coppia canadese che ha deciso di stendere il bucato nel proprio giardino, contravvenendo alla legge. Il comportamento della coppia viene considerato un atto di disobbedienza civile. Il regista Steven Lake sta lavorando al film “Drying for freedom”, letteralmente asciugare per la libertà, sottotilolo “Il futuro è appeso a un filo”. Ecco come la questione viene descritta: “Tens of millions of individuals across Northern America are banned from outdoor line drying by the very communities they live in, forcing them to turn to the dryer. Homeowners who break the rules are fined, sued and even foreclosed on. This ban is not only infringing on civil rights, it’s contributing to the environmental and energy crisis. The dryer is responsible for 6% of the average household’s energy bill and it costs residential ratepayers in the US an estimated $5 billion annually. Corporate America has sold the dryer and the consumption of electricity as a status symbol, and now they have their eyes on a much bigger prize – the world”. “Drying for freedom” non è solo un film, è un movimento, un sito che raccoglie informazioni e fa divulgazione. Posso dire di sentirmi bene a vivere in un paese in cui c’è libertà di stendere il bucato all’aperto? E’ una battutaccia, lo sapevo. Intanto, però, mentre India e Cina abbracciano la moda occidentale e si convertono alle asciugatrici, per via della crisi, secondo il Daily Mail, la vendita di asciugatrici nel Regno Unito è scesa del 30%. In Italia sembra che stia crescendo. Non è una statistica, ma lavo i panni anche io e sento che ormai va di moda comprare l’asciugatrice. Io resisto, son di quelli che amano il profumo del bucato asciugato al sole. Guardiamoci il traler del film, aspettando che esca. Buona settimana.
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