La parola schiavo fa pensare a tempi lontani e soprattutto conclusi, finiti. Eppure anche oggi tante persone lavorano in condizioni che non si possono considerare civili , fino ad arrivare a situazioni ben più drammatiche di traffico di esseri umani. Secondo Slavery Footprint , gli schiavi moderni non sono utilizzati solo per la realizzazione di prodotti scadenti o marginali, ma anche per prodotti cosiddetti di qualità, prodotti di marca. Le catene di fornitura sono così lunghe e difficili da gestire che molto spesso le stesse aziende non sanno che nei campi, nelle miniere, durante la lavorazione delle materie prime, vengono impiegati degli schiavi.
Si dice che la seconda voce dell’export della Birmania, dopo il legno teak, siano i rubini, estratti dalle miniere da forza lavoro che vive in condizioni terribili, per una paga misera o addirittura inesistente.
1,4 milioni di bambini sono stati costretti a lavorare nei campi di cotone uzbeki.
Cosa si può fare? Le aziende dovrebbero impegnarsi a controllare l’intera catena di fornitura e ogni consumatore, nel suo piccolo, potrebbe premiare le aziende che danno garanzie sul rispetto dei diritti di tutti i lavoratori.
Il sito di Slavery Footprint è stato lanciato un paio di mesi fa, ma l’entusiasmo con il quale è stato accolto dagli internauti (compresa la sottoscritta) ha reso la navigazione piuttosto complicata e lenta. I problemi tecnici sono stati risolti e ora è possibile calcolare il proprio Slavery Footprint.