Negli ultimi anni sono cresciute come funghi, e sono ora un numero spropositato, le certificazioni ambientali nel mondo. L’ Ecolabel Index ne conta ad oggi 432 in 197 paesi. Qui potete vedere l’intera lista.
Ce n’è per tutti i gusti. Ci sono i marchi ecologici che si riferiscono solo a determinate fasi del ciclo di vita di un prodotto e quelli che lo considerano nella sua globalità, poi ci sono quelli che considerano diversi indicatori e quelli che si concentrano su uno solo, quelli relativi a determinati settori, quelli poi che si riferiscono ad aspetti ambientali e altri che considerano solo quelli sociali.
Non bisogna poi dimenticare gli ecolabel gestiti da organismi indipendenti e quelli sviluppati da un’azienda e non controllati da un ente terzo.
L’ International Herald Tribune ha recentemente posto la questione in un articolo (What’s in a label? Not necessarily sustainability ), che metteva in discussione il valore di (certi) marchi ambientali. Un aspetto interessante sollevato nell’articolo è che è anche difficile sapere quanti consumatori fanno in realtà acquisti verdi, proprio perché è difficile definire quando un prodotto sia sostenibile. Se lo si chiede ai consumatori, è ancora più difficile valutare le risposte in quanto molti aspetti del prodotto, ad esempio l’imballaggio, possono suggerire che il prodotto sia stato pensato e realizzato con una particolare attenzione per l’ambiente, anche se non è così. Sembra che non siano infatti molti i consumatori che si soffermano a leggere le etichette e che fanno acquisti veramente consapevoli. Secondo una ricerca citata nell’articolo, nel Regno Unito la percentuale di consumatori informati sulle principali problematiche ambientali e desiderosi di utilizzare il proprio potere d’acquisto per fare scelte consapevoli si aggira tra l’8 e il 10%. Non so se sia così, credo che l’acquisto sia guidato da aspetti molto diversi a seconda delle situazioni e delle necessità del consumatore in un particolare momento. A parte una piccola percentuale di “convinti” in ogni occasione, con il bello e il cattivo tempo, credo che molti facciano scelte ibride, decidendo di fare attenzione quando si acquistano prodotti specifici (es. cibo), prodotti per persone particolari (es. bambini), per usi particolari (es. vernici per dipingere la propria casa) o occasioni speciali. In altre circostanze, o quando si è di fretta, o quando l’occasione e il prezzo allettano, la performance ambientale passa in secondo piano. Ciò non significa che non sia importate puntare alla riduzione dell’impatto ambientale dei prodotti, quella è un’altra cosa. Non si torna indietro. La consapevolezza per ambiente e problematiche sociali potrà solo aumentare, e le aziende si trovano sempre più spesso a dover rispondere del proprio operato considerando l’intera catena di fornitura. Prodotti attenti all’ambiente vengono richiesti dalla grande distribuzione, dal settore pubblico, da molti portatori di interessi.
La scorsa estate la Apple ha deciso di abbandonare per i propri computer la certificazione USA EPEAT, per poi fare retromarcia nel giro di pochi giorni. Bob Mansfield,Vice Presidente Senior, con una lettera pubblicata nel sito aziendale, si scusava con i propri clienti per la decisione presa, riconfermava l’impegno dell’azienda per l’ambiente e anche l’adesione alla certificazione. Cosa ha fatto cambiare idea alla Apple? Le lamentele di tanti clienti, e il rischio di perdere commesse della pubblica amministrazione.
Tornando alla nostra questione sul valore dei marchi ecologici, ricordo anche che le nuove Linee Guida USA sulle asserzioni ambientali recentemente aggiornate, prevedono che chi ha un ecolabel sia comunque tenuto a fornire prova delle asserzioni comunicate.
In futuro credo che il numero dei marchi ecologici diminuirà, e rimarranno quelli che garantiscono maggiore trasparenza, completezza, onestà e accuratezza. La speranza, poi, è che si avvii un percorso di armonizzazione e lo sviluppo di standard internazionali che permettano di fissare parametri e misure accettati e condivisi a livello mondiale.