Il quotidiano Le Parisien l’ha descritto come “lezione di felicità”. E’ sufficiente per convincere ad acquistarlo? Sono anni che sto alla larga da libri sulla crescita personale e spirituale, cambiamento, miglioramento della vita. In genere trovo in altri libri che non si propongono di insegnare niente molta più ispirazione e stimolo. Ma ho comprato questo “Le jour où j’ai appris à vivre” (Il giorno in cui ho imparato a vivere) forse perché è ufficialmente un romanzo e non un saggio. Ho letto un po’ di recensioni nei siti francesi, e tra moltissimi commenti entusiastici, alcune recensioni negative riguardano invece proprio il fatto che assomigli più a un saggio che ad un romanzo.
Il protagonista è il comproprietario di un’agenzia assicurativa, da poco separato e padre di una bambina, che più che vivere tira a campare. Il lavoro ha perso la verve e lo spirito dei tempi iniziali, la vita sociale è piatta, quella familiare triste. Un giorno una ragazza gli legge la mano e gli predice una fine imminente. Da questo momento, tutto cambia.
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Foto di Leonardo BB |
La trama non è sicuramente delle più originali, e il tocco finale un po’ deludente, ma nel complesso questa storia ispira ottimismo, merce rara e sempre benvenuta, per come la penso io. La parte vincente del libro è quella del dialogo tra il protagonista e la zia, che in una storia per bambini potrebbe essere il saggio gufo. Se non avete voglia di leggere tutto il libro (VIII diritto imprescindibile del lettore di Daniel Pennac: il diritto di spizzicare, tanto per rimanere in Francia), andate direttamente al capitolo 7 per questo dialogo che è una piccola lezione di vita.
La nature nous rend ce que la societé nous a confisqué.
Et plus tu vas obtenir de plaisir en provenance de l’extérieur, plus tu vas conditionner ton cerveau à se tourner pour y chercher des sources de satisfaction.
…le mot d’origine, utilisé par Jésus, que l’on a traduit par “péché” était khtahayn. Il signifie plut ô t “erreur”, dans le sens où ce que l’on fait ne correspond pas à l’objectif. De m ê me, quand Jésus parlait de ce qui est mal, il utilisait le mot bisha, qui veut plut ô t dire “inadéquat”. Bref, commettre des péchés n’est pas vraiment faire le mal, mais plut ô t se tromper et s’éloigner de l’objectif.
…quand on fait la guerre contre soi-m ê me, une chose est s û re: l’un de nous va perdre!
Credo sia proprio questo il fulcro della storia, questo il saggio trasformato in romanzo aggiungendovi tutto quello che viene prima e che segue dopo. Però, se lo leggete in francese il linguaggio è fluido, facile da seguire, e rappresenta un ottimo esercizio di lingua. Sicuramente da salvare anche la parte relativa alle buone azioni. A rischio di essere buonista, le azioni buone fanno bene, eccome, idealmente almeno una al giorno.
Per rimanere in tema, questa immagine è tratta da un tweet di oggi di Danielle Nierenberg, che seguo (il mio account è @2Bortolozzo se volete seguirmi).
Today offer a random act of kindness to someone and watch how great you both feel.
Buon fine settimana.