“Why take a life cycle approach?” è un documento divulgativo dell’UNEP (United Nations Environmental Programme) del 2004. Sono passati quindi un po’ di anni da quando l’ho letto, ma questa immagine del ciclo di vita della t-shirt non me la sono mai scordata. Solo fino a pochi anni fa la LCA era roba di nicchia, argomento difficile e noioso di cui si occupavano ricercatori e responsabili dello sviluppo di nuovi prodotti. E lì stava, punto. Nella maggioranza dei casi interessava poco al management, figuriamoci ai consumatori. E così quest’immagine semplice e chiara mi era rimasta impressa, e avevo cominciato a pensare a come tradurre i risultati di uno studio di LCA in linguaggio comprensibile a tutti. Ora lo faccio di mestiere. Ma oggi di quest’immagine ho bisogno perché vorrei parlare di un aspetto del ciclo di vita dell’abbigliamento che molto spesso sorprende chi ne viene a conoscenza. Se prendiamo ad esempio proprio la t-shirt, il grafico in basso, tratto dallo studio Apparel Industry Life Cycle Carbon Mapping del 2009, evidenzia che (smaltimento a parte), la produzione del tessuto e della t-shirt sono le fasi meno impattanti del ciclo di vita del nostro capo. Guardate invece il lavaggio, e soprattutto l’asciugatura. Per chiarezza, qui vengono considerate solo le emissioni di gas serra.
T-shirt Life Cycle GHG emissions
Non sorprende quindi vedere, ora che l’analisi del ciclo di vita è uscita dalla nicchia, risultati di questi studi che prendono vita in iniziative che coinvolgono i consumatori.
Degno di nota è il programma del Defra (Department for Environment, Food and Rural Affairs) Sustainable Clothing Roadmap , attivo in Gran Bretagna dal 2007. Questo progetto, che si occupa di migliorare la sostenibilità dei capi d’abbigliamento partendo dallo studio del loro ciclo di vita, nasce dalla consapevolezza della rilevanza mondiale del settore abbigliamento. Il progetto cerca di creare abiti che soddisfino le esigenze de consumatori odierni, ma che allo stesso tempo siano fatti, trasportati e venduti usati e smaltiti in modo da ridurne gli impatti negativi sull’uomo e sul pianeta, sia oggi che in futuro.
The Sustainable Clothing Roadmap si sta sviluppando in quattro fasi:
- Esame dei dati, ovvero lo studio del ciclo di vita dei prodotti e dei loro impatti.
- Coinvolgimento delle parti interessate, riunendo tutti gli attori del ciclo di vita dai produttori agli utenti
- Sviluppo di un piano d’azione, per indirizzare il governo e le parti interessate a sanare le mancanze individuate
- Attuazione del piano d’azione, per poi monitorare e valutare i risultati
Lo studio del ciclo di vita ha evidenziato che il 90% dei vestiti utilizzati nel Regno Unito è importato e pertanto per migliorare la sostenibilità dell’abbigliamento in Gran Bretagna, necessario migliore le politiche sulla sostenibilità ambientale ed etica nei paesi produttori; per questo motivo il Defra ha dato il via a due progetti dimostrativi in India col fine di migliorare la sostenibilità del prodotto tessile sia per quanto riguarda le materie prime che i successivi processi di lavorazione. Lo studio ha sottolineato, inoltre, il forte impatto della fase d’uso causato dal lavaggio e dall’asciugatura: è partita così una campagna sul lavaggio a 30 gradi.
Nella seconda fase sono state circa 300 le parti coinvolte, tra cui organizzazioni di consumatori e venditori, società produttrici e ONG.
La terza fase ha individuato 5 aree di intervento, tra cui la rintracciabilità dei passaggi produttivi e la consapevolezza, l’educazione e la comunicazione ai consumatori. A questo proposito è interessante segnalare il master, partito nel 2008 al London College of Fashion, sui temi della moda e dell’ambiente, e le iniziative della Society of Dyes and Colourists per fornire corsi sulle migliori pratiche per la colorazione a basso impatto ambientale nel Regno Unito, in Cina, India e Bangladesh.
I risultati ufficiali non sono ancora stati resi pubblici: è interessante sapere che il progetto è in continua evoluzione, infatti il numero di partecipanti crescere continuamente.
Se lo scopo attuale è di attuare le azioni convenute con i piani d’intervento, per il futuro si pensa già a piccoli gruppi che lavoreranno su obbiettivi specifici, con la consapevolezza dei consumatori che resterà una priorità.
Sia mai che queste informazioni servano a lavare la coscienza delle aziende produttrici, l’obiettivo è invece come sempre quello di stimolare a trovare soluzioni innovative e comunicare in modo trasparente impatto e interventi possibili.