E’ recentemente apparso su GreenBiz l’articolo ” 3 myths about life cycle assessment “. Secondo l’autore, questi tre miti, che corrispondono ad altrettanti limiti, o presunti tali, della LCA, sono: la capacità dello strumento di prevenire il greenwashing, la mancanza di dati accurati e la mancata inclusione della tossicità tra gli impatti.
Il primo punto, a leggerlo, fa sorridere, perché richiama un noto caso di due aziende, una produttrice di asciugatori per mani e l’altra di carta, che con i loro studi di LCA hanno entrambe “provato” che la soluzione concorrente aveva un impatto maggiore. La ragione di ciò è da imputare alla scelta degli assunti, poiché l’azienda produttrice di asciugatori aveva considerato l’uso di più salviette per asciugarsi le mani, mentre l’azienda produttrice di carta non aveva certo considerato che gli asciugatori funzionassero ad energia fotovoltaica. Questo caso fa sorridere anche me, che mi occupo proprio di comunicazione ambientale. Questa degli assunti è in effetti una realtà, perché i risultati di una LCA dipendono molto dalle scelte che si fanno, e questo spiega anche perché confrontare studi diversi o basarsi esclusivamente sul confronto dei risultati non sia corretto. C’è da dire che purtroppo in alcuni casi le scelte non vengono dettate da motivi scientifici ma da ragioni puramente di comodo. Questa rimane una questione aperta, che rientra nell’ambito più ampio del lavoro di armonizzazione internazionale che è motivo di discussione e alla base di iniziative varie a livello internazionale. E’ doveroso inoltre sottolineare che l’obiettivo principale della LCA è quello di analizzare i propri prodotti per poterli migliorare, non il confronto con altri.
Il secondo mito fa riferimento al tipo di dati utilizzati. Anche questo è un aspetto cruciale della LCA. Rimango sempre perplessa quando capita (per fortuna raramente) di ricevere richieste di database che contengano tutti i dati relativi ad un determinato studio. Per quanto possibile, è quasi banale dirlo, andrebbero utilizzati dati primari. L’articolo si concentra giustamente su quei casi per i quali è troppo complicato, se non impossibile, risalire a dati primari. L’utilizzo in tali casi di dati primari, rende la LCA meno significativa? Secondo l’autore, “i n a hypothetical Big Data future, we all may have full access to real time data about our supply chain impacts, but in the meantime, LCA modeling allows us to take responsibility for the parts of our footprint we don’t see everyday”.
Infine, il terzo punto si riferisce al fatto che, secondo alcuni, i risultati della LCA possono essere fuorvianti perché non includono gli impatti relativi alla tossicità. Secondo l’autore è un falso problema poiché la LCA non potrà mai includere tutti gli impatti possibili, rimane infatti un ottimo strumento di valutazione ma in certi casi potrà essere accompagnato da strumenti complementari. Per noi è un falso problema perché negli studi di LCA la tossicità invece la includiamo, sempre.