Colorificio San Marco è un’azienda leader nella produzione di vernici e pitture per l’edilizia. Federico Corò vi lavora da tre decenni e in questa intervista ci racconta in modo preciso e trasparente il lungo percorso di sostenibilità dell’azienda, l’utilizzo della LCA, la scelta delle certificazioni e i molti traguardi raggiunti. Un racconto di ispirazione per molte altre realtà.
Il Colorificio San Marco, capogruppo del San Marco Group, è azienda leader in Italia nella produzione di pitture e vernici per l’edilizia professionale.
Nato nel 1937 a Treviso, vanta oggi 10 siti produttivi/commerciali e commerciali in diversi Paesi del mondo e conta un portafoglio di 6 marchi.
Negli ultimi 10 anni Colorificio San Marco ha avviato diverse iniziative nell’ambito della propria politica ambientale:
- Organizzazione interna e ambiente
- Life Cycle Assessment
- Schede Ambientali San Marco
- Certificazioni ambientali EPD
- Attività di eco-design
- Gestione dei rischi nell’utilizzo e commercializzazione delle sostanze chimiche
(dal sito www.san-marco.it)
Buongiorno Federico, raccontaci qualcosa di te e della tua posizione all’interno di Colorificio San Marco.
Sono Federico Corò. Ho 50 anni e da circa trenta sono in Colorificio San Marco. Quindi una notevole anzianità!
Mi sono occupato di cose diverse: dal controllo qualità allo sviluppo dei prodotti.
Attualmente mi occupo di regulatory: ambito nel quale ricade anche l’analisi LCA e le certificazioni di prodotto in generale.
Ritengo di avere avuto una ottima opportunità ad occuparmi di queste tematiche. È un ambito che appassiona e le scelte fatte in azienda mi hanno dato la possibilità di entrarci in modo molto approfondito.
Da diversi anni Colorificio San Marco utilizza la Life Cycle Assessment come strumento per la propria strategia ambientale. Ci puoi raccontare come è nato questo percorso?
Senz’altro non dal caso. Fa parte un po’ della storia di questa azienda la ricerca di percorsi di innovazione.
Nel 1982, ad esempio, il Colorificio San Marco fu uno dei primissimi produttori a realizzare dei prodotti idrodiluibili in alternativa ai tradizionali sistemi a solvente. L’azienda decise di essere il pioniere nel settore. Parliamo di un tempo in cui il termine “idrodiluibile” non esisteva ancora, infatti si usava l’espressione “smalto all’acqua”.
Una innovazione dai contenuti ambientali molto rilevanti però, almeno nella comunicazione, questi venivano poco evidenziati.
Oggi andrebbe diversamente ma qualche decennio fa era abbastanza diffuso un pregiudizio per cui parlare di ambiente, nel settore delle costruzioni, era considerato poco “tecnico”. Addirittura controproducente.
Veniva quindi riconosciuta poca importanza ai temi della sostenibilità?
Un po’ era così ma dobbiamo anche pensare che doveva ancora essere pubblicata la definizione di “sviluppo sostenibile”. Per dire di quale epoca stiamo parlando.
L’esempio che ho fatto serve a dimostrare che il mercato era poco preparato a considerare sostanziali delle novità di tipo ambientale. In quel caso, infatti, furono maggiormente enfatizzati i contenuti tecnici del prodotto.
Malgrado queste difficoltà, però, l’azienda ha continuato a puntare su soluzioni che avessero forti connotazioni di sostenibilità. Nel 2000, per fare un altro esempio, uscì una linea di prodotti denominata SuperNatural. Era sostanzialmente una linea di prodotti VOC Free. Anche in questo caso venivano precorsi i tempi: il concetto di “sostanze organiche volatili” non esisteva, così come l’acronimo VOC. Il claim era “solvent free”: termine che, però, non rendeva pienamente la portata della novità.
Quindi rimanevano delle difficoltà perché, per stare all’esempio, a volte mancava addirittura una terminologia specifica, però le cose erano già cambiate rispetto ai primi tempi.
Sì, ma ci è voluto un po’.
C’è un fatto piuttosto importante che ci ha dato l’idea di questa trasformazione.
Nel 2008 inizia, molto traumaticamente, la crisi economica. Il mondo delle costruzioni ne viene investito e, per arginarne le conseguenze, viene varato il Piano Casa: una serie di incentivi all’attività edilizia che prevedono anche una premialità per la “bioedilizia”.
Quello fu lo spartiacque?
Sicuramente un riferimento in termini temporali. Poi, probabilmente, c’è anche qualche nesso di causalità.
Quel che è certo è che, in quello stesso periodo, riceviamo diverse richieste di qualificazione dei nostri prodotti secondo criteri ambientali.
Erano soprattutto enti e associazioni professionali che operavano nel settore delle costruzioni e dell’architettura a farci tali richieste, però era evidente che l’aria stava cambiando e con notevole velocità.
Ma da qui all’LCA il collegamento non è così diretto.
No, e in effetti non lo fu nemmeno per noi.
La nostra prima iniziativa in tal senso fu la creazione di un marchio che distingueva alcuni prodotti proposti per interventi in bioedilizia. Era GreenSpirit. Il concetto alla base era, e rimane, assolutamente valido, ma si trattava di un insieme di criteri qualitativi, poco adatti a “fare la differenza”, infatti furono numerose le iniziative analoghe intraprese dai competitors.
Qui, devo dire, che intervenne l’impostazione che ricerchiamo sempre nel nostro lavoro: affidarci a presupposti scientifici riconosciuti.
Una volta deciso di basare anche questa partita su tali presupposti, i progressi furono davvero veloci.
Nei primi giorni del 2009 stavamo già elaborando i primi dati.
Li cominciò anche la collaborazione con 2B e conservo ancora i primi schemi che tracciavamo a mano per sviluppare il nostro modello.
La prima fatica fu l’analisi di tutti i prodotti della linea GreenSpirit. Si trattava di circa 40 prodotti, quindi: un bell’inizio.
Terminata questa fase abbiamo deciso di certificare il lavoro svolto per 3 di questi prodotti, per dare un senso a quanto avevamo fatto. Ne sono risultati i primi 3 EPD.
Infatti il Colorificio San Marco è la prima azienda in Italia ad avere ottenuto una certificazione EPD per le pitture e vernici e per dei sistemi di isolamento termico a cappotto. Ci spieghi il perché della vostra scelta e i vantaggi che offre?
In realtà, almeno nelle fasi iniziali, non ci furono importanti vantaggi.
Quando all’inizio del 2011 abbiamo pubblicato le prime 3 EPD il mercato non era certo pronto ad accogliere informazioni quali l’”impoverimento abiotico” dei prodotti, ed anche sulla consapevolezza degli effetti delle emissioni di CO2 non si era molto più avanti.
È stato necessario molto lavoro di comunicazione, tuttavia i precedenti non ci mancano.
In realtà, nei primi tempi, ci muoveva soprattutto la propensione alla proattività e la consapevolezza che la strada intrapresa era “giusta”, aveva grandi potenzialità.
All’inizio furono soprattutto interlocutori istituzionali (regioni, università e altri tipi di iniziative) ad interessarsi alle novità che proponevamo.
Attualmente la pubblicazione dei Criteri Ambientali Minimi per l’affidamento dei servizi nell’edilizia sta dando un notevole impulso alla diffusione delle certificazioni ambientali ed oggi ci torna utile l’esperienza fatta.
Ci puoi fare un esempio di miglioramento di un vostro prodotto basato sui risultati degli studi di LCA?
Un esempio concreto è l’introduzione degli imballi in plastica riciclata. L’imballo per noi non è solo un contenitore: è uno strumento di lavoro. Dentro alla confezione il prodotto viene mescolato, diluito, tinteggiato. Deve avere dei requisiti irrinunciabili.
Abbiamo potuto quantificare la riduzione di CO2 in ca 1,3 kg per ogni pezzo, e stiamo parlando di centinaia di migliaia da quando questo progetto è iniziato.
Io credo, in generale, che la disponibilità di informazioni sia diventata uno dei requisiti fondamentali e mi riferisco a qualsiasi aspetto: tecnico, applicativo, estetico e, naturalmente, anche quello ambientale. Implementare con un profilo LCA l’informazione già disponibile è da ritenersi intrinsecamente un miglioramento importante perché consente a tutti di effettuare scelte più consapevoli. Sia ai consumatori che ai professionisti.
Per comunicare la performance ambientale dei vostri prodotti avete scelto di utilizzare la certificazione EPD, ma anche delle schede ambientali da voi sviluppate. Un interessante traguardo è stata anche la certificazione del vostro metodo di calcolo LCA. Puoi descriverci queste schede e come sono strutturate?
Tanto l’EPD quanto la certificazione del metodo rispondono ad una esigenza di credibilità e di consistenza delle informazioni.
Le schede ambientali credo siano una nostra esclusiva.
Rappresentano un modalità per realizzare quella completezza di informazioni a cui accennavo.
Questa scheda è disponibile per molti dei nostri prodotti a listino.
In questo documento viene pubblicato un profilo LCA.
Vi è poi una sezione dedicata alla mappatura dei crediti LEED cui, potenzialmente, il prodotto può concorrere. La qualificazione ambientale degli edifici è un tema che riveste una crescente importanza.
Vi possono essere, inoltre, eventuali altre informazioni sulle dotazioni di test report, o di altre certificazioni.
Un elemento interessante è l’ecodesign-index, cioè la storia degli interventi effettuati sul prodotto per migliorarne le prestazioni ambientali.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Certamente intendiamo continuare a rappresentare un riferimento per quanto riguarda l’analisi LCA applicata alle categorie di prodotto che trattiamo.
Poi dovrebbero esserci delle interessanti novità anche sul versante dei materiali innovativi.
Grazie mille Federico!