Intervista a Giuliana Zoppis

18 April 2019

Giuliana Zoppis è giornalista indipendente e architetto. Scrive per settimanali e mensili, è Coordinatrice della Commissione Sostenibilità di ADI (Associazione Design Industriale) e presidente di BestUP (Circuito per la promozione dell’abitare sostenibile, fondato nel 2006 con Clara Mantica). Recentemente è stata ad Addis Abeba come ambasciatrice del design italiano per la seconda edizione dell’Italian Design Day 2018, indetto dal Ministero degli esteri, il Ministero della cultura e del turismo, gli Istituti Italiani di cultura e la Triennale di Milano.

Con la sua esperienza ventennale, Giuliana ha una profonda conoscenza del design e della sostenibilità e sa cogliere e comprendere i cambiamenti prima che avvengano.

Per i ruoli che ricopre, Giuliana indaga e pone domande; per noi ha accettato di essere per una volta intervistata e di condividere un concentrato della sua esperienza.

Quali sono secondo te al momento le tendenze più significative nell’ambito del design sostenibile in grado di avere un impatto duraturo?

Più che di tendenze, parlerei di nuovi paradigmi, partendo da due citazioni molto attuali. La prima è da una frase di Roland Barthes: “L’essenza di un oggetto ha qualcosa a che fare con il modo in cui si trasforma in spazzatura”. La seconda è tratta da un documento del UK Design Council: “Il design sostenibile implica l’uso strategico del design per soddisfare le necessità dell’uomo attuali e future senza danneggiare l’ambiente. Significa (ri)progettare prodotti, processi, servizi o sistemi per risolvere squilibri tra esigenze della società, dell’ambiente e dell’economia e per “tamponare” i danni già fatti”. Si tratta, dunque, di progettare e produrre senza generare più rifiuti e di puntare a generare oggetti, edifici, servizi che durino nel tempo, e che una volta dismessi possano trasformarsi in nuova materia utile. Il design sostenibile è uno strumento potente per collaborare al benessere delle persone. Oggi si parla di design per il sociale: una disciplina che definisce il grado di responsabilità sociale di imprese e professionisti. In sostanza, un’area di progetti d’iniziativa pubblica e privata per lo sviluppo di un’economia sostenibile per le comunità; progetti che mirano a modificare i comportamenti e le strategie per un maggiore coinvolgimento sociale.

Nell’ambito del design sostenibile, come in altri settori, non è facile essere veramente innovativi. Negli ultimi eventi a cui hai partecipato, come Salone del mobile e Fuorisalone, ti è parso che prevalgano vecchie idee in veste nuova o che ci siano anche innovazioni interessanti? Ci sono iniziative, prodotti o servizi degni di essere segnalati?

Il fermento di nuove idee è forte. Sia dalle università, sia nei gruppi di progettazione italiani e stranieri stanno nascendo da qualche anno istanze e nuovi materiali improntati a cicli di vita “dalla culla alla culla”, dove tutto si rigenera. Per avere una panoramica ampia delle innovazioni amiche dell’ambiente consiglio di visitare attentamente la prossima XXII Esposizione Internazionale che per sei mesi, dal 1° marzo fino al 1° settembre 2019, negli spazi della Triennale di Milano, mette in mostra progetti, prodotti, sistemi, interfacce che provano a rispondere ai grandi quesiti del presente. Come possono designer, scienziati, politici, studiosi aiutare i cittadini ad affrontare in modo costruttivo i problemi più urgenti legati all’ambiente naturale e sociale? Come possono incoraggiare le persone a distogliere l’attenzione dalle preoccupazioni personali e immediate per far confluire le iniziative individuali in una prospettiva collettiva, sistemica e di lungo termine? Cosa significa rispettare l’ambiente in un’epoca di spostamenti di massa, di intelligenza artificiale e di rapide estinzioni? Quali strategie mettere in atto per affrontare il cambiamento climatico? “Broken Nature” -il titolo di questa XXII Esposizione Internazionale curata da Paola Antonelli (responsabile del MOMA di New York per il design e l’architettura) con un team internazionale di esperti- ha l’obiettivo di incoraggiare una lettura sfaccettata e inclusiva dei problemi che minacciano l’esistenza collettiva, di diffondere atteggiamenti di gratitudine e non di puro sconforto, di far crescere il rispetto verso i sistemi sociali e ambientali in cui viviamo, favorendo una prospettiva sostenibile per le generazioni future. «La responsabilità sociale di designer e scienziati implica che ognuno di loro dovrebbe assumersi -al pari dei medici- una sorta di “giuramento di Ippocrate”», sostiene la Antonelli al simposio di lancio della XXII Esposizione. «E’ evidente che i designer trasformano in oggetti e strumenti della vita quotidiana ciò che gli scienziati scoprono. Anche un singolo materiale -in questo scenario- può fare la differenza non solo estetica, ma etica». Pensiamo alle bio-plastiche da polimeri vegetali dello studio Formafantasma e alle bio-pelli “animal-free” ricavate dalle radici dei funghi di Modern Meadow. Entrambe ultraleggere, riciclabili, compostabili e durevoli. Così come, per fare un altro esempio che si vedrà in Triennale, alle sete prodotte con i lieviti proteici e impiegate nei nuovi capi di Stella McCartney.

Che consiglio daresti a giovani designer che si affacciano al mondo del lavoro e desiderano lasciare un segno nel futuro del design?

Consiglio di continuare a studiare, mentre si affacciano alle prime esperienze lavorative. Servono sempre più competenze multifunzionali per far fronte ai bisogni del presente: la chimica e la fisica sono utili alleate, così come la biologia. Nelle città italiane ed europee dove hanno sede università e incubatori d’idee molte sono le occasioni per avvicinare esperti ed esperienze che possono “spalancare il cuore e il cervello”. Consiglio ai giovani designer di essere sempre curiosi e flessibili.

Nei tuoi viaggi e analisi del mercato, quale paese (o quali paesi) ritieni abbia (abbiano) programmi o esponenti particolarmente interessanti nel design, soprattutto sostenibile?

Lo scorso anno come ambasciatrice dell’Italian Design Day in Etiopia ho avuto modo di verificare come anche nei Paesi del sud del mondo stiano nascendo figure e programmi molto avanzati e utili.  Così come durante l’ultima esperienza nella formazione di figure-ponte tra progettisti, imprese e comunità locali per un master dello IULM con l’agenzia UNIDO dell’ONU ho avvicinato giovani laureati in design, architettura, sociologia e filosofia provenienti da paesi come la Tunisia, la Giordania e il Marocco dove le innovazioni sostenibili stanno generando nuovi rapporti tra artigianato locale e industria, aprendo nuove possibilità di lavoro e di mercato nella direzione di generare più benessere e meno impatto ambientale in territori spesso provati da conflitti e penuria di risorse. Uno dei progetti più articolati è “Creative Mediterranean – la capacità di ripresa attraverso la creatività”, portato avanti in sette paesi dell’area del MENA (Medioriente e nord Africa). Gli strumenti scelti sono proprio la diffusione di cultura e l’affiancamento di un potente motore d’innovazione e cambiamento: il design. Non quello delle grandi firme, ma la disciplina strategica in grado di creare connessioni tra realtà diverse e farle dialogare, operare e produrre verso la creazione di prodotti e servizi belli e utili. Attraverso percorsi creativi trasversali a più discipline. La sfida -come ci spiega il coordinatore, l’architetto e designer italiano Giulio Vinaccia- è di farlo progettando un eco-sistema che abbia un impatto economico e sociale sul territorio nel lungo termine.

Concludiamo sempre con una domanda personale: quali sono i tuoi progetti futuri?

Mi piacerebbe trovare spazi e modi per conciliare il mio desiderio di natura con la passione per le relazioni umane. Sono ancora produttiva -nonostante i miei 63 anni di cui 43 passati lavorando intensamente- nel senso che continuo a scrivere e porto avanti iniziative culturali e sociali, ma vorrei trovare il tempo per dedicarmi a un progetto sul “design per il Pianeta”. Sempre più persone hanno bisogno di condizioni decenti per vivere e abitare, ci sono sempre più frontiere da espandere, anziché da erigere, per migliorare la qualità della vita dei popoli. L’associazione che ho fondato con Clara Mantica nel 2006 Best Up (bello-equo-sostenibile), affronta dall’inizio le tematiche dell’abitare sostenibile: dalla concezione alla produzione, al consumo fino al recupero/riciclo o reinvenzione di beni e servizi. Sostenibilità sociale e ambientale sono i fondamenti delle nostre attività, ampiamente documentate nel sito. Oggi con Best Up condivido, però, la volontà di partecipare al mondo superando pregiudizi e divisioni, consapevoli che ogni creatura e ogni manifestazione sul Pianeta sono interconnessi e interdipendenti. La promozione del design come strumento di sviluppo sostenibile e agente di cambiamento ci sta portando su percorsi sempre più orientati alla responsabilità sociale e ci apre necessariamente al tema dei diritti e della povertà. Sovranismi e discriminazioni non sono sostenibili né dal punto di vista sociale né da quello ambientale.

Grazie Giuliana!

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