Dopo quasi due decenni di trattative, il 4 marzo 2023 alla quinta conferenza intergovernativa di New York si sono conclusi i negoziati riguardanti il “Trattato sull’alto mare per proteggere la biodiversità degli oceani”. Secondo l’UE si tratta del raggiungimento di un traguardo storico, che consentirà di istituire aree marine protette su larga scala in alto mare e di regolare lo sviluppo della ricerca in aree marine per motivi scientifici e commerciali. Inoltre, il trattato contribuisce all’impegno mondiale assunto con l’accordo di Kunming-Montréal al fine di raggiungere il “30 by 30”, ovvero proteggere almeno il 30% degli oceani entro il 2030. Infine, è coerente con l’obiettivo 14 dell’Agenda 2030 che presta attenzione a “la vita sott’acqua”.
fonte immagine: https://sdgs.un.org/goals
Il trattato, meglio conosciuto con l’acronimo BBNJ (Biodiversity Beyond National Jurisdiction), si basa sulla Convenzione sulla Legge del Mare delle Nazioni Unite (UNCLOS). Si tratta del terzo accordo di questo tipo, dopo gli accordi specifici sull’estrazione mineraria dei fondi marini (1994) e sulla gestione degli stock ittici transnazionali e altamente migratori (1995). Il BBNJ permette di stare al passo con gli sviluppi realizzati e le sfide emerse da quando la convenzione è stata elaborata trent’anni fa. Si tratta di uno step fondamentale perché l’alto mare offre all’umanità inestimabili benefici ecologici, economici, sociali e di sicurezza alimentare, quindi deve essere protetto con la massima urgenza. Queste aree subiscono pressioni sempre maggiori a causa dell’inquinamento (compreso il rumore), dello sfruttamento eccessivo, dei cambiamenti climatici e della riduzione della biodiversità. Per la prima volta si impone una valutazione dell’impatto delle attività economiche sulla biodiversità in alto mare.
Ma cosa si intende con alto mare? Si tratta di acque marine internazionali, dove tutti i paesi hanno il diritto di pescare, navigare e fare ricerca. Attualmente, due terzi degli oceani mondiali rientrano in questa categoria e solo l’1% di queste acque è stato finora protetto. Prima dell’alto mare si hanno le Zone Economiche Esclusive, che si estendono per 200 miglia nautiche (370 km) a partire dalle coste nazionali.
Lo scarso livello di protezione rende l’alto mare una zona particolarmente esposta a rischi di sfruttamento, traffico e cambiamento climatico, tanto che secondo l’International Union for Conservation of Nature (IUCN) quasi il 10% delle specie marine è a rischio di estinzione. Secondo il Dr. Ngozi Oguguah, del Nigerian Institute For Oceanography le maggiori cause dell’estinzione marina sono la pesca eccessiva e l’inquinamento. Minna Epps, a capo del team sugli oceani dell’IUCN, sostiene che la CO2 viene assorbita dagli oceani, rendendoli più acidi e compromettendo, così, alcune specie. Maggiori dettagli possono essere consultati al seguente link.
fonte immagine: IUCN red list
Per cominciare a preservare gli ambienti marini è necessario limitare le attività di pesca, le rotte di navigazione e le attività di esplorazione, tra cui l’estrazione in acque profonde. Quest’ultima pratica provoca particolare preoccupazione, in quanto può disturbare i sedimenti, creando inquinamento acustico e danneggiando le zone di riproduzione.
I negoziati si sono conclusi, tuttavia l’accordo entrerà in vigore solo dopo la revisione giuridica dell’UN e la ratifica dei 60 stati partecipanti. L’UE si adopererà per garantire che ciò avvenga in tempi rapidi, aiutando i paesi in via di sviluppo a prepararsi all’attuazione dell’accordo. La loro partecipazione sarà sostenuta attraverso lo sviluppo di capacità e il trasferimento di tecnologie marine, finanziata da varie fonti pubbliche e private e da un meccanismo equo per la condivisione dei potenziali benefici delle risorse genetiche marine.